Seconda Domenica di Quaresima Lectio

II Domenica Quaresima – anno B

 

Invochiamo lo Spirito Santo


Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni; datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
raddrizza ciò ch’è sviato.

Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna. Amen.

Vangelo: Mc 9,2-10 (// Mt 17,1-9; Lc 9,28-36)

2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Meditiamo il Vangelo

Il brano del Vangelo di questa domenica ci parla della trasfigurazione; la seconda domenica di quaresima leggiamo sempre il brano della trasfigurazione: l’anno A leggiamo il racconto di Matteo, l’anno B quello di Marco, l’anno C quello di Luca. I racconti dei 3 evangelisti sono molto simili.

“Sei giorni dopo”: l’evangelista si riferisce ai fatti che ha narrato nel capitolo precedente e cioè la domanda di Gesù “La gente chi dice che io sia?”, la professione di fede di Pietro “Tu sei il Cristo”, il primo annuncio della Sua passione e risurrezione, il rimprovero a Pietro “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” e le condizioni per la sequela “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. I discepoli non hanno ancora capito che Gesù è sì il Messia, ma lo è al modo annunciato dal profeta Isaia e cioè è il servo sofferente di Dio che, pur non avendo nessuna colpa, si è caricato dei nostri peccati e per noi soffrirà passione e morte. È un Messia che ci svela l’amore di Dio, non la Sua potenza come pensavano gli Ebrei.

Gesù sa che sta andando incontro alla passione e vuole che i Suoi discepoli siano, per quanto possibili, preparati per questo evento; per questo motivo prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che sono stati testimoni della resurrezione della figlia di Giàiro e che saranno i più vicini al momento della Sua preghiera angosciata al Getsemani, e li porta sul monte in disparte.

Il monte si eleva al di sopra della pianura e per guardare verso la cima bisogna alzare lo sguardo verso il cielo e cioè rappresenta la scoperta che c’è altro oltre la nostra esistenza terrena. Il monte è il luogo della manifestazione di Dio e dell’incontro con Lui; pensiamo al monte dell’episodio della prima lettura dove l’angelo ferma Abramo dal compiere il sacrificio di Isacco. Mentre Dio ha fermato Abramo, facendo sì che non sacrificasse il suo figlio unigenito, “non ha risparmiato il proprio Figlio” (Rm 8,32), come ci ricorda la seconda lettura, ma “ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito” (Gv 3,16), testo riportato dalla seconda preghiera di colletta di questa domenica.

Pensiamo anche al monte Sinai dove Dio si manifestò a Mosè nel roveto ardente e dove, più tardi, donerà a Israele la legge, stabilendo la Sua alleanza col popolo liberato dalla schiavitù in Egitto. La liberazione di Israele dall’Egitto rappresenta la liberazione dell’uomo da ogni schiavitù e, in particolare, quella dal peccato e dalla morte eterna.

Il sesto giorno ha anche un altro significato: è il giorno della creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, e con l’episodio della trasfigurazione Gesù ci mostra che il fine ultimo dell’uomo non è la sofferenza e la morte, ma la sua trasfigurazione nella gloria. Dio ci vuole fare alzare lo sguardo per farci capire che c’è molto di più della nostra esistenza terrena, delle nostre occupazioni, delle nostre fatiche, del nostro dolore, anche delle nostre gioie. La trasfigurazione non è un’esperienza che Pietro, Giacomo e Giovanni fanno dopo la morte e questo ci fa capire che il cammino di trasfigurazione della nostra vita deve cominciare fin da ora.

Le vesti di Gesù diventano splendenti, luminose, e la luce è simbolo della risurrezione e della divinità. Nella Bibbia le vesti rappresentano la realtà della persona e quindi la divinità di Gesù, ma anche noi siamo chiamati a rivestirci della stessa divinità tanto che l’Apocalisse dirà “Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli” (Ap 3,5). Questo vuol dire che siamo chiamati a partecipare della stessa divinità di Dio e fin da ora a far diventare candida e luminosa la nostra vita, com’era luminoso il volto di Mosè dopo l’incontro con Dio. Se facciamo esperienza di Dio nella nostra vita questo traspare anche all’esterno, diventiamo raggianti.

Mosè ed Elia rappresentano la legge e i profeti, e sono qui accanto a Gesù per significare che Lui è il compimento di tutta la storia della salvezza. Tutta la storia è in mano a Dio, anche la nostra storia e la nostra vicenda personale; non abbiamo nulla da temere.

Pietro riconosce la bellezza di stare lì perché riconosce che questo è il fine dell’uomo: contemplare la visione beatifica di Dio per tutta l’eternità: per questo vorrebbe fare tre tende, per far sì che questa condizione duri per sempre. Questa può essere una tentazione: voler arrivare alla gloria senza passare dalla croce, ma è proprio sulla croce che Dio ci mostra quanto ci ama ed è nella prova che anche noi dobbiamo confidare nell’amore di Dio e dimostrargli la nostra fiducia e il nostro amore dicendogli: “Signore, io so che Tu mi ami, mi fido di Te, non sia fatta la mia, ma la Tua volontà”.

La nube rappresenta la presenza di Dio: pensiamo alla nube che nell’Esodo accompagnava il cammino degli Israeliti, quella che è scesa sul monte Sinai al momento della consegna delle tavole della legge, quella che scendeva sulla tenda del convegno e che poi scenderà sul tempio costruito da Salomone. I rabbini dicono che il volto di Dio è talmente luminoso che nessuno può guardarlo e rimanere in vita, per questo deve velarlo nell’ombra della nube.

È molto interessante il parallelismo di questo brano con quello del battesimo di Gesù. Nel battesimo al Giordano la voce dal cielo aveva proclamato: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Qui la voce dalla nube dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”.

Paolo VI nell’esortazione apostolica Gaudete in Domino ha detto: “Se Gesù irradia una tale pace, una tale sicurezza, una tale allegrezza, una tale disponibilità, è a causa dell’amore ineffabile di cui egli sa di essere amato dal Padre”. Questa esperienza è vera anche per noi; anche noi siamo amati da Dio. Questo dovrebbe riempire di gioia la nostra vita e la gioia di essere figli amati e salvati da Dio dovrebbe essere la prima testimonianza della bellezza di essere cristiani, ma spesso perdiamo di vista questo amore e la meta gloriosa che ci attende, per questo diventiamo tristi e sentiamo la fatica del cammino.

Dopo il battesimo Gesù sarà condotto dallo Spirito nel deserto, luogo della prova, come ci ha ricordato il Vangelo di domenica scorsa, ma anche luogo dove otterrà la vittoria sul tentatore. Anche qui, dopo la trasfigurazione, ci sarà la salita verso Gerusalemme e la prova della passione e morte, ma poi la vittoria definitiva della risurrezione.

Dio ci comanda di ascoltare Gesù perché Gesù è il Suo Verbo, la Sua Parola che si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Ascoltare Gesù è la via per tenere viva la coscienza della Sua presenza in mezzo a noi e arrivare alla comunione con Dio che è il fine per cui l’uomo è stato creato.

Mentre scendono dal monte Gesù raccomanda loro di non dire niente a nessuno fino a che non sarà risorto dai morti e questo perché finché i discepoli non scopriranno fin dove arriva l’amore di Dio per loro, e cioè fino a dare la vita sulla croce, e non saranno testimoni della risurrezione, e cioè del fatto che l’amore di Dio non ci abbandona ed è più forte della morte, non potranno capire fino in fondo quello che hanno sperimentato nella trasfigurazione.

La liturgia ci presenta questo brano in questo periodo di quaresima perché ci vuole preparare alla Pasqua di Cristo, alla sua passione, morte e risurrezione, perché anche noi possiamo fare Pasqua con Lui e quindi ricominciare una vita nuova in Lui. Quando sperimentiamo l’amore di Dio che arriva fino a dare la vita per noi la nostra vita cambia. Anche noi sappiamo, con la certezza della fede, di essere amati da Dio e questo deve riempirci di gioia e darci il coraggio e la forza per affrontare le prove della vita, sapendo che accanto a noi e dalla nostra parte c’è Dio che con il Suo amore non ci abbandona mai e certo non ci abbandonerà nella morte. San Paolo, nella seconda lettura, dice: “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31) e, poco più avanti: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35-39). Nulla può separarci dall’amore di Dio e questo deve essere in noi fonte di gioia, la gioia di essere cristiani, di essere amati e salvati da Cristo. Solo se ci fidiamo fino in fondo dell’amore di Dio, del fatto che Lui non voglia altro se non il nostro bene e quello dei fratelli, solo allora riusciremo ad abbandonarci totalmente e fiduciosamente a Lui e a dire con Gesù: “Non sia fatta la mia, ma la Tua volontà”.

Spunti per la riflessione personale e la condivisione:

  1. Nel corso delle mia giornata mi ricordo del fatto che Dio mi ama ed è presente accanto a me per accompagnare ogni passo del mio cammino?
  2. La mia vita fa trasparire la gioia di essere cristiano amato e salvato da Dio oppure quando ci sono delle prove mi rattristo e mi dimentico del Suo amore?
  3. Mi fido veramente di Dio fino in fondo e gli dico “Non sia fatta la mia, ma la Tua volontà”?
  4. Sono consapevole che il fine della mia vita è la comunione con Dio che si compirà nella gloria futura oppure faccio dipendere la mia gioia dalle cose terrene?

 

Preghiamo con la seconda colletta: O Dio, Padre buono, che hai tanto amato il mondo da dare il tuo Figlio, rendici saldi nella fede, perché, seguendo in tutto le sue orme, siamo con lui trasfigurati nello splendore della tua luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

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